zerotremilacento
Presentazione Manifesto Arte Pubblica Relazionale

territorio:
Frosinone

Il Manifesto dell’Arte Pubblica Relazionale è stato presentato a Frosinone, territorio di azione di zerotremilacento, nella stessa sala dove la storia ha avuto inizio nel 2006, proprio con una serie di incontri.

L’INTRODUZIONE
Gianluca Fricchione, presidente dell’associazione, utilizza immagini di queste pratiche per sintetizzare tutto quanto ha portato alla stesura del Manifesto. Inizia con un insieme promiscuo di mani al lavoro, quelle che hanno consentito la realizzazione dell’evento dello scorso anno “da Cosa nasce cosa_X ”, per poi soffermarsi su una lettura del logo ideato 11 anni fa. Ha poi documentato gli incontri “Exploring Art” che avvenivano in Toscana per attuare una immersione totale nella conoscenza dell’arte ambientale e pubblica, nella conoscenza reciproca dei membri dell’associazione e nella programmazione annuale. Un paio di immagini hanno mostrato come il gruppo interdisciplinare si incontra per definire progetti e loro attuazione, infine una sequenza di due percorsi del progetto “da Cosa nasce cosa”, oggi alla sua undicesima edizione, ed esempio più longevo di processualità, e i quattro Orti d’Arte, realizzazioni del
progetto Città degli Orti, che hanno agito su un modello strutturato a “Cantiere Aperto”. Ha concluso il suo intervento con un quadro riassuntivo di quanto prodotto in questi anni:
- 77 eventi, di cui 8 convegni, 12 seminari, 24 azioni didattiche, 33 eventi d'arte
- 4 Cantieri Aperti (orti d'arte)
- 1 Rete Scolastica: “Rete Scolastica Fiume Cosa Bene Comune”
- 2 Pubblicazioni: 5 anni di azioni/relazioni nel territorio di Frosinone (2012) e Il Manifesto dell’Arte Pubblica Relazionale (2017)
- 3 Mostre
- 273 opere tra installazioni performance di teatro, musica e danza, azioni di coinvolgimento del corpo sociale nella produzione di opere d'arte partecipata.

GLI INTERVENTI

Loredana Rea, direttore artistico della Fondazione Umberto Mastroianni, e docente di Storia dell’Arte Contemporanea nell’Accademma BBAA di Frosinone, ha presentato un excursus partendo dalla contestazione dei cittadini e dei frequentatori della Foley Federal Plaza di New York contro l’opera “Tilted Arc” di Richard Serra, che ha dato inizio a una nuova ricerca artistica nello spazio pubblico che tenesse conto non solo dell’instaurarsi di relazioni con l’ambiente fisico ma anche e soprattutto con l’ambiente sociale. Dunque partendo dal 1981 la Rea ha attraversato alcune delle articolazioni più significative della galassia dell’arte
nello spazio pubblico fino a concludere con gli ultimi approdi, quelli delle azioni di disobbedienza, rivolta, resistenza e conflitto sociale. Come storica dell’arte si è soffermata sulle mutazioni dei linguaggi, delle forme e degli spazi dell’agire artistico.

Stefania Crobe, ideatrice e curatrice di SITI e PhD Candidate Urban Planning, ha subito proposto di non utilizzare più la definizione di Arte Pubblica, intanto perché tutta l’arte è pubblica, e poi perché il termine racchiude tante di quelle differenti e distanti forme e modalità di intervento che lei, per ora, preferisce usare la definizione di “pratiche artistiche nella sfera pubblica”. Pratiche artistiche per creare un nuovo sguardo sul territorio per una conoscenza diversa e l’inizio di una pratica di riappropriazione, cosa che sta praticando con SITI, soggetto che opera a Priverno. Ritessere la città partendo dalla riconnessione sociale per approdare a una nuova urbanistica che faccia rinascere la “città”. Elenca alcuni altri soggetti che praticano forme di arte nella sfera pubblica del basso Lazio.

Marcello Carlino, già docente di letteratura italiana contemporanea all’università La Sapienza di Roma, si sofferma su una lettura puntuale dei punti nodali del Manifesto. E’ vero che l’arte è sempre pubblica e relazionale ma nel Manifesto si definisce un’arte nello spazio pubblico come percorso alla ricerca dell’utopia di cui abbiamo sempre necessità. Mette poi in evidenza come si indica una procedura e una pratica per ricucire
la città dal punto di vista urbanistico, culturale e sociale, procedura che parte dalla individuazione delle aree sensibili su cui agire con processi attivi e continui. Il terzo nodo su cui si sofferma è quello della riconnessone tra estetica e etica “dimenticata”. Etica come responsabilità e impegno, etica come progetto di futuro che viaggia assieme all’estetica diffusa, cioè il vivere in un contesto di qualità di rapporti interumani.
E’ per questa ragione che zerotremilacento è andata oltre i canoni estetici per agire direttamente nel sociale. D’altra parte non esistono più le varie arti secondo il loro statuti definiti, dunque è possibile passare dall’una all’altra forma a seconda delle necessità dei processi innescati al fine di attivare utopia, la forza aprente dell’immaginazione. Carlino ritiene che il manifesto ripesca, riscrive nel presente per il futuro, le logiche tipiche delle avanguardie.
Sembra riproporre l’utopia del surrealismo: creare un contesto sociale poetico dove tutti creano poesia, dove si vive la poesia.
E’ vero che tutta l’arte è relazionale ma il Manifesto, attingendo dalla pratica decennale di zerotremilacento, la propone come coproduzione, dunque non collaborazioni, partecipazione subordinata, non una relazione a posteriori, un dialogare con l’opera dopo che è stata prodotta, ma una pratica che ammette la partecipazione attiva del tessuto sociale dall’ideazione alla realizzazione. Arte relazionale come coproduzione e dunque la necessità di ritornare al progetto abbandonato dal post modernismo. Il progetto implica una proiezione verso il futuro uscendo dalla logica
postmoderna della fine del progetto, progetto come proiezione di futuro possibile, coscienza del proprio agire e autocoscienza del partecipante. E tutto questo è già l’opera, un’opera che può anche finire e non esistere più un minuto dopo che l’azione è finita. L’opera è il processo che si è innescato e, anche per questo, la processualità è continua e senza contorni definiti dalle caratteristiche produttivistiche e economiche. E’ in questo tipo di processo che poi inevitabilmente si incontra la politica. Una politica che dovrebbe porre attenzione nuova verso le pratiche artistiche perché queste, nella loro autonomia, elaborano visioni e suggeriscono soluzioni.
Per tutti questi motivi è da augurarsi che il Manifesto inauguri uno spazio di discussione nella città e nel mondo dell’arte.

A chiusura ci sono stati alcuni interventi ma, come previsto, è mancato un vero dibattito in quanto non c’era una presenza di pubblico attivo nel campo dell’arte pubblica o con esperienze analoghe.
it | en